Intervento su: “La Questione Europea”

Opportunamente Giampaolo Rossi richiama l’attenzione dei giuristi nazionali ed europei (ma in modo diretto e chiaro, per parlare a tutti i cittadini europei; non solo agli officianti) sul particolare, difficile momento che sta vivendo l’Unione europea.

Il suo saggio “La questione europea” è stato scritto all’immediata vigilia della votazione del Regno Unito sulla Brexit; finita, come è noto, per l’uscita dall’Unione di questo Stato chiave. Poi sono avvenute conferme di fenomeni degenerativi, quali la perdurante carenza di un’effettiva politica europea delle migrazioni; il contrasto nord/sulle politiche economiche e di bilancio; la nolontà – principalmente della Germania – di perfezionare il sistema dell’unione bancaria con gli ultimi, decisivi tasselli. Si susseguono nelle elezioni locali risultati negativi per gli interessi comunitari; un Paese al centro della storia europea – l’Austria – è prossimo ad un risultato che potrebbe portare un esponente della destra estrema alla presidenza; molti Stati dell’Est sembrano in preda a convulsioni xenofobe, accompagnate non per caso da degenerazioni democratiche interne.

Si potrebbe continuare a lungo nell’elencare i grandi problemi, non meramente evenemenziali, che caratterizzano oggi l’Unione; ma già abbiamo accurate analisi. Non è invece chiaro, anzi le recenti discussioni hanno confuso il già complesso scenario, se l’accumularsi dei problemi e la prossima secessione del Regno Unito siano l’inizio della disgregazione dell’Unione, o un’occasione – pur drammatica – di una sua rigenerazione.

Nella storia della Comunità e dell’Unione, sinora, i momenti di maggiore crisi hanno sempre determinato una reazione positiva verso un’ulteriore integrazione. Queste esperienze potranno ancora ripetersi oggi? La speranza che ciò avvenga, (è il mio punto di vista) potrà verificarsi solo tra qualche tempo; ma non lontano, visto che il prossimo anno si avranno fatti istituzionali e politici, sia europei che nazionali che segneranno la direzione; basti pensare alle elezioni generali in Germania.

Intanto proviamo a riflettere sui nodi cruciali posti dalla crisi, alcuni dei quali sottolineati da Giampaolo. In questa prima occasione (contando di continuare presto un più articolato “colloquio”), vorrei concentrarmi sul ruolo della scienza del diritto pubblico.

Va anzitutto richiamato che in nessun altro ordinamento giuridico come in quello europeo il diritto ha contato tanto. La nota definizione della Comunità europea come una “Comunità di diritto” si deve dunque declinare oltre il rispetto della legge e dei principi del Rule of Law, per significare che la Comunità – oggi Unione europea – è effettivamente uno spazio comune basato in modo primario sul diritto (secondo taluni, più ancora che sulla politica).

I giuristi hanno sempre dato gli strumenti concettuali e normativi per segnare le tappe principali dell’integrazione europea. Nei primi anni cinquanta del secolo scorso, al tempo della CECA, fornirono un modello amministrativo “leggero” ed efficace, capace di realizzare una Comunità a carattere funzionale, basata principalmente sull’operato degli Stati membri. Nella fase successiva, soprattutto nel decennio degli anni 60, furono gli ispiratori – dentro e fuori la Corte di giustizia – della costituzionalizzazione dei Trattati e della stessa Comunità. Di poi ancora, una volta raggiunto con il Trattato di Maastricht l’obbiettivo dell’Unione europea, hanno riespanso l’integrazione tramite l’amministrazione; con organismi e procedure che hanno dato vita alla coamministrazione con gli Stati membri, imperniata però sul centro comunitario. Da ultimo, per rispondere alla più grave crisi economica del dopoguerra, i giuristi hanno contribuito con istituti e concetti originali alla creazione di nuove “unioni di settore”, come l’unione bancaria europea.

Analogo giudizio positivo può essere dato per la scienza giuridica, che ormai da qualche decennio – non senza sforzo e con alcune perduranti sacche di resistenza – ha messo in soffitta l’idea del diritto comunitario come branca ancillare del diritto internazionale. Ovunque in Europa, anche oltre i confini dell’Unione, è stato un fervore di studi; si sono create riviste giuridiche del tutto originali, basate su network trasversali alle principali scuole europee; congressi e ricerche comuni fanno pensare con qualche sorriso anche a quanto pur illustri Maestri affermavano scetticamente sulla pretesa impossibilità di un diritto pubblico comune, oltre al dato storico del passato. Dal classico diritto comparato – lo studio del diritto a confronto tra diversi – si è presto passati al diritto comparato infracomunitario, ovvero delle varianti nazionali nell’esecuzione del diritto europeo e della residua sfera di statalità. Particolarmente attivi i giuristi britannici, pur in un contesto che, come si è visto, sempre più propendeva per la “specialità” del Regno Unito di vittoriana (usurata) memoria.

Certo che ad un’analisi più distesa si potrebbe discettare sulle maggiori o minori capacità innovative nell’approccio pubblicistico, fortemente segnato da una divisione – detta grosso modo – tra i costituzionalisti, legati alla sovranità ed alle costituzioni nazionali, e gli amministrativisti, più aperti all’amministrazione congiunta ed al trapianto di organismi, procedure e forme di tutela. Ma si tratta di questioni “interne” alla scienza giuridica che non intaccano la valutazione d’insieme, sopra proposta, del diritto e della scienza giuridica come fondamento primario dell’integrazione europea.

E’ oggi sufficiente per i giuristi continuare così ? Ad esempio dando le migliori opportunità per il pieno dispiegarsi delle molteplici novità della disciplina dell’unione bancaria; oppure premendo sulla Corte di giustizia per un maggiore coraggio nella tutela dei diritti fondamentali, passando da ottime enunciazioni di principio a più effettive conclusioni?

Fermo questo impegno, è giunto per i giuristi il tempo di partecipare in modo diverso alle odierne questioni: aggiungendo dunque alla costruzione delle regole del fare ed alla loro migliore esecuzione anche una capacità prospettiva, affiancando decisamente le istituzioni ed i rappresentanti politici. Occorre ritornare al tempo dei “legisti”, con una circolarità di impegno che non si esaurisca nella pur ottima gestione del dato tecnico-giuridico.

Spero in una prossima occasione di presentare in questa sede una mia idea che in sede accademica sto propugnando dai mesi scorsi, quando ho avvertito la profondità della crisi dell’Unione; uscendo in modo chiaro e diretto dal pur necessario dibattito “interno” al mondo giuridico ed istituzionale. Anche per questo ringrazio Giampaolo che ha avuto la sensibilità di offrirci un foro aperto di dibattito

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